La Via prosegue senza fine
Lungi dall'uscio dal quale parte.
Ora la Via è fuggita avanti,
Devo inseguirla ad ogni costo
Rincorrendola con piedi alati
Sin all'incrocio con una più larga
Dove si uniscono piste e sentieri.
E poi dove andrò? Nessuno lo sa.

J.R.R. Tolkien - La Compagnia dell'Anello

sabato 30 agosto 2025

Rocca Ginepro


Ci sono luoghi che hanno un carattere altéro, riservato, pungente e anche un tantino pericoloso. Sono luoghi che è meglio lasciare in pace, frequentare con misura e con una certa prudenza. Uno di questi è Rocca Ginepro, così chiamata da me perché quella sporgenza rocciosa, che strapiomba per quasi 500 metri sulla val Tanaro, che non ha ripari né ad oriente né ad occidente, che fai ancora un passo verso nord e non sei più, non ha un toponimo regolarmente segnato sulle carte. Forse una volta aveva un suo nome, assegnatogli dagli antichi frequentatori dei pascoli poco distanti, e che ormai è stato dimenticato. È un luogo che incute timore e rispetto e il cui sentiero d’accesso, come una porta che si apre su un altro mondo, è celato nel folto del bosco. Per me Rocca Ginepro ha un non-so-che di terribile e attraente assieme. Quasi a volerne descrivere il carattere respingente, sulla sua sommità, esposta al vento e alle intemperie, e dalla quale la vista spazia a 360 gradi tra le Alpi Liguri e le prime Marittime, non crescono che ginepri spinosi, coricati al suolo dal vento alpino, rallegrati solo da qualche ciuffo di lavanda selvatica.
 
Da sinistra a destra Alpi Liguri e Alpi Marittime 
dalla Rocca Ginepro


Il bosco si ferma poco prima di arrivare al precipizio, quasi a dire “io non vado oltre, questa paura rocciosa non fa per me”. Eppure è proprio il bosco il suo principale alleato e il suo migliore amico perché, mentre le tiene protette le spalle come fosse un vecchio scialle, la rende al tempo stesso misteriosa e inaccessibile. Regno incantato di lupi e caprioli lui, regno assoluto dei rapaci lei. 


L’Alta Valle Tanaro dalla Rocca


Giungo alla Rocca Ginepro quando ho bisogno di quel silenzio pieno di voci che solo la natura può dare. Quando i miei occhi han bisogno di spazi che descrivono l’uomo come una piccola insignificante creatura tra le creature, quando ho bisogno di mettere la mia vita nelle mani dell’istinto e dell’intuito e zittire la voce della mente chiacchierona. Quando ho bisogno di aggiungere nuovi ricordi e lasciar volare via quelli vecchi ed inutili, quando ho bisogno di sentire che stare da soli con se stessi, ma avere comunque qualcuno che ci aspetta, è un privilegio.

 


Arrivo sul limite e mi fermo. La testa gira in una vertigine a guardare verso il basso. Ancora un passo e… per guardare meglio oltre il ciglio mi stendo a terra, Babette resta indietro, saldamente legata ad un ginepro. Rimango lì finché non sento che i miei occhi han toccato tutto e che il mio spirito si è colmato di quel tutto. Il ritorno non è mai come l’andata: si è verificato un cambiamento, dentro di me, proprio cosi, come l’ho cercato e immaginato. E il sentiero mi appare meno lungo e misterioso. Rientro nel mondo di sempre e saluto la Rocca, ringraziandola.

Buoni passi a tutti. 

Alègri! ❤️

lunedì 18 agosto 2025

Tanarello il “verdazzurro”


Nasce dalle pendici del Monte Saccarello, la cima più alta delle Alpi Liguri e la valle dove scorre è ancora oggi una delle più selvagge ed “intatte”della zona: il Tanarello. La sua salvezza è che la strada che lo costeggia non è mai stata asfaltata: per raggiungerne gli angoli più nascosti è necessario camminare, camminare, camminare. Una valle verdazzurra, dove le faggete dialogano con abetine e lariceti, dominata da bastioni rocciosi calcarei che nascondono reconditi segreti sotterranei, vivificata e resa magica dal corso sinuoso del torrente che crea cascate, laghi, anse e gole. Una valle la cui storia intreccia racconti di transumanze e semplice vita agreste ormai dimenticata, a tradizioni che fanno fatica a resistere all’implacabile passare del tempo. Non vi si trova alcun insediamento umano, a parte alcune malghe per l’alpeggio estivo sul versante settentrionale della vallata, ormai abbandonate da quasi un secolo e pressoché totalmente diroccate. Alcune pareti che pionieri dell’arrampicata hanno attrezzato, con gradi di difficoltà piuttosto elevati, una grotta che si fece conoscere per il ritrovamento di resti appartenenti all’orso delle caverne preistorico, sentieri di collegamento con il “resto del mondo” che risultano difficili da percorrere se non li si conosce perfettamente: appannaggio di chi quei luoghi li frequenta da generazioni e forse con un po’ di giusta gelosia li vuole preservare dal turismo di massa che sempre di più sta invadendo gli spazi naturali. 




Nelle calde e afose giornate d’agosto fare il bagno nel Tanarello è una delle esperienze più gradevoli che si possano immaginare. Se la portata d’acqua non è eccessiva, con un buon paio di scarpe adatte agli sport acquatici in outdoor si può percorrere il greto del torrente fino alla confluenza con il Negrone (non fate come me che, come al solito, le ho scordate, e l’ho percorsa scalza, sperimentando una immersione totalizzante ma un po’ troppo faticosa). L’unione dei due corsi d’acqua alpini, proprio lì, dà origine al fiume Tanaro. Nelle giornate fresche del primo autunno i boschi possono regalare tra i panorami più suggestivi delle Alpi Liguri. I larici si accendono di un rosso vivo, assieme agli aceri di monte, e spiccano tra il verde degli abeti. I raggi del sole sono timidi e inclinati e non giungono mai a sfiorare le acque del torrente, regalando visioni da regno di fiaba. La valle è il rifugio e zona di passaggio di un branco di lupi che nelle brevi giornate invernali si può avere la fortuna di udire ululare. Nulla da invidiare a certi paesaggi nord americani, sebbene il tutto racchiuso in scala molto ridotta. 



L’anima di questo luogo è qualcosa di prezioso e unico, anch’esso fa parte dei “miei” luoghi magici, la cui essenza accompagna la mia vita da quando sono nata e la cui bellezza selvaggia ha forgiato la mia percezione della natura. Le mie avventure verdazzurre colorano le mie estati anno dopo anno rendendomi sempre più grata di questo privilegio che la vita mi ha donato. 
E voi, avete un luogo verdazzurro tutto vostro?? 
 Alègri!❤️





sabato 9 agosto 2025

Ho dato il “Bianco”

Il sole saluta l’Aiguille Noire de Peuterey,
les Dames Anglaises e il Monte Bianco
di Courmayeur

Ho dato il Bianco finalmente. Ho rinnovato, rinfrescato le pareti di una stanza che sapeva di chiuso. Una stanza in cui ho vissuto tante bellissime ed uniche esperienze, ma esperienze che non torneranno più: bei ricordi si, ma bisogna andare avanti. Allora ho deciso: togliere i vecchi colori scrostati alle pareti, e dare semplicemente il “Bianco”.  Tornare dopo tanti anni negli stessi luoghi, molto amati, e trovarvi nuove prospettive, nuovi punti di vista, nuove amicizie, nuove promesse. Tornarci con il mio zaino carico di saperi e di amore per la montagna, tornare con tanta umiltà e voglia di imparare. Ringrazio Monja, persona stupenda, super collega di lavoro e amica,  che mi ha permesso di vivere questi giorni in Val Ferret ai piedi delle Grandes Jorasses assieme alla sua meravigliosa famiglia “multistrato”. Ringrazio il suo compagno Davide, istruttore di arrampicata e alpinista, che mi ha fatto guardare le verticalità rocciose sotto una nuova luce; ringrazio l’allegria educata dei loro figli e la loro voglia di scalare le montagne e divertirsi nella natura: mi ha ridato speranza in un futuro di giovani uomini e donne attenti alle sorti del nostro pianeta meraviglioso. Ringrazio nonno Cesare che mi ha fatto partecipe della sua fragilità e della sua forza, e di tutte le sue mille storie e saperi sui viaggi in camper. Ringrazio la mia fedele Babette, che non mi abbandona mai, e si è fatta amare da tutti per la sua dolcezza infinita e la sua affidabilità e adattabilità. Ringrazio tutti gli alpinisti e amanti della montagna che ho conosciuto e dai quali ho tratto storie, racconti, emozioni, saperi. Non potevo desiderare nulla di più e di meglio… è la magia della montagna. Quella vera, quella lontana dai riflettori e dai record, quella di chi sale in silenzio, senza sponsor e cronometro, rispettando se stesso e gli altri ma soprattutto il luogo dove posa i piedi e le mani. La montagna che detta le sue regole, severe, ma che dà a tutti una possibilità di riuscita. 

Le Grandes Jorasses di notte illuminate
dalla Luna piena. 

Post scriptum. L’importanza dei nomi. 
Il nome Jorasses giunge dal celtico Juris che significa “foresta d’alta quota”. Le foreste erano importanti  per i Celti e la val Ferret, che era senza dubbio ricoperta da una estesa foresta di larici secolari, era un luogo incantato e a loro sacro. Teniamolo a mente, i nomi sono importanti. 

venerdì 1 agosto 2025

Chiusetta



Son tornata da sola, anzi non proprio sola, con la fedele Babette al mio fianco, sui sentieri del Margua. Questa volta non per il desiderio in sé di percorrere strade, quanto per assolvere ad un voto che ho fatto a me stessa da tempo: ridipingere i fiori sulla croce della Chiusetta. Per me è una immersione totale in un angolo di natura che un poco mi appartiene, per lunga storia di frequentazione esperienze e vita.  Ma non è una appartenenza corrisposta : credo che a quel boschetto di pino mugo, a quelle rocce strapiombanti, a quei buchi che occhieggiano nelle pareti, a quei mille tipi di fiori, a tutte quelle mosche ronzanti e farfalle sfarfallanti, alle marmotte fischianti, alla nebbia incastrata tra gli abeti, ai gracchi gracchianti, agli steli d’erba della piana, alle pietraie che sembrano ruscelli di sassi, proprio non interessi un bel niente di me. E forse sta proprio qui la cosa bella: trovare pezzetti di sé all’interno di quell’indifferenza. Perché io da anni faccio lo sciroppo con quelle pigne che hanno quel profumo di quella montagna lì e di nessun’altra. Perché la sera mi faccio la tisana con i capolini essiccati della sua achillea, perché durante l’inverno cittadino a volte ripercorro con la mente il sentiero di  cui ricordo ogni singola svolta ed è come esserci senza esserci. Perché posso ricordare quando lo facevo a 20 anni con zaino pesante e vita ancora leggera, e strati di ricordi che si sono sedimentati lì in quel luogo uno dietro l’altro. Perché lo immagino quando nessuno lo percorre se non il vento, o la tormenta di neve, o la pioggia scrosciante, o nel buio di una notte stellata o alla luce dell’alba o al crepuscolo. 
E la triste storia che ha portato il nome Chiusetta su tutti i giornali la posso raccontare perché l’ho ascoltata dalla bocca di chi è sopravvissuto. Da chi aspettava un ritorno che non c’è stato. Perché ho percorso anche io quella grotta. La croce custodisce nove anime, nove vite spezzate dal troppo amore per quelle montagne. Un monito per chi è rimasto. Un invito a continuare ad amarle. Sono salita veloce, quasi di corsa e ho ridipinto i loro fiori, che la montagna e il tempo stavano sbiadendo. Ho raccolto le pigne di pino mugo. In silenzio, in segreto. Ho raccolto l’achillea. Ho scattato alcune foto. E son tornata a casa, questa volta lentamente, fermandomi ad assaporare i silenzi rotti solo dal frinire dei grilli, dal richiamo di un capriolo maschio laggiù nel bosco, o dal frusciare delle fronde. Sono tornata con un altro piccolo pezzo di me nello zaino e l’ho sistemato per bene al suo posto. Un piccolo pezzo del puzzle. 








 

mercoledì 23 luglio 2025

Sul sentiero di Elisabetta

Il meteo non permette stravaganze. In montagna non si deve rischiare: sempre di più si sentono incidenti e interventi dei soccorsi per recuperare escursionisti in difficoltà perché imprudenti o male attrezzati. La montagna insegna a dire a se stessi “Oggi no, si torna indietro” e spesso questo è difficile dopo aver pianificato una gita, averne già assaporato il sapore ed essersi svegliati all’alba. Così è successo a noi sabato scorso 19 luglio, rimandati al mittente da una perturbazione piuttosto consistente, che da subito ci ha fatto capire che non sarebbe passata in tempi utili per salire con sicurezza sul percorso che noi chiamiamo “Sotto gli occhi del Visconte”. Tornati all’auto decidiamo però di non abbandonare del tutto i luoghi e ci spostiamo a Carnino Sottano: possiamo almeno tentare di arrivare alla gola delle Saline. Pietro non ha mai percorso quel vallone e mi fa piacere fargli scoprire qualcosa di nuovo. Iniziamo a salire nel bosco sopra il bellissimo abitato di Carnino Sottano, fermandoci a raccogliere le fragoline di bosco che fanno capolino, mature al punto giusto ed abbondanti. Le consideriamo un bel regalo e un ottimo invito a proseguire. Poco sopra già si sente il “profumo” e lo scampanare di una mandria: due uomini sono intenti alla mungitura a mano ed è bellissimo osservarne i gesti sapienti e quella cascata bianca travasata dal secchio al recipiente in metallo. Sapori antichi che sopravvivono in questi angoli di montagne. 

Il pascolo sopra Carnino Sottano

Giungiamo in breve al bivio che, preso a destra, porterebbe alle Selle di Carnino, storici pascoli della zona, e che continuando giungerebbe, passando per la bellissima risorgenza delle Vene con omonima grotta, al Rifugio Mongioie e al settore più orientale di queste montagne. Giriamo a sinistra e passiamo alle spalle del Rifugio Ciarlo Bossi, di uso esclusivo del GES (Gruppo Escursionistico Savonese). Notiamo con piacere che è aperto: scopriremo al ritorno, facendo sosta caffè al rifugio Foresteria di Carnino, che il gruppo ancora si dedica a promuovere l’amore per la montagna nelle giovani generazioni. A loro va tutto il mio rispetto e incoraggiamento a continuare! Il sentiero si inoltra nella valletta, le pareti si stringono e la vegetazione cambia piano altitudinale: boschi di abeti e pinete di pino silvestre si sostituiscono gradatamente alle latifoglie disegnando geometriche simmetrie. 

Bosco di abeti e pini silvestri sulle pendici sud
del gruppo delle Saline
 
In salita sul sentiero
 alle spalle del rifugio Ciarlo Bossi 

Il cammino si fa man mano più impervio e le pareti di roccia si restringono: il ruscello ormai scorre quasi alla nostra altezza, ne sentiamo il canto e ne vediamo chiaramente il tracciato, disegnato dagli alti epilobi che lo circondano. Giunto ad una svolta del sentiero, inoltratosi ormai nel punto più stretto della gola, sento Pietro che esclama “Mamma! Guarda!” È questione di un secondo: davanti a me si materializza una visione fiabesca. Un grande e massiccio esemplare di camoscio, disturbato dal nostro arrivo mentre beveva al ruscello, ci attraversa la strada, salta il corso d’acqua e si porta agevolmente sulle rocce alla nostra sinistra. Ci siamo fermati, a bocca aperta, senza parole, estasiati dalla grazia dei suoi movimenti, dalla sua abilità di arrampicata e dalla sua maestosità. Si può capire anche senza una specifica preparazione che è un esemplare anziano, ha il corpo leggermente insellato e le anche preminenti sotto la pelliccia, ed è completamente solo. Un amico esperto vedendo le foto in seguito ci dirà che abbiamo visto un vero Re, un esemplare maschio anziano con un palco dalle caratteristiche da medaglia d’oro: massiccio, lungo, molto uncinato ma soprattutto alquanto divaricato, caratteristica molto rara. 

Il Re 

Il Re ci osserva nella nebbia
 finché non ci allontaniamo

È il risarcimento migliore che potevamo ricevere: la giornata ci ha comunque regalato un’emozione unica. 
Nonostante il tempo stia velocemente peggiorando, con banchi di nebbia sempre più densi che salgono dalla valle, decidiamo di attraversare la gola e di giungere alla soglia glaciale dove si aprono i pascoli in quota, sotto il Passo delle Saline. 

Raggiungiamo la Gola delle Saline

Il sentiero piano piano ci porta fuori
dalla gola

Decidiamo di fermarci a mangiare qualcosa presso la croce di ferro dedicata a Elisabetta Pastorelli, morta nella tormenta il 3 dicembre 1883. Quella croce mi ha sempre incuriosita… cosa ci faceva una donna su quel sentiero di montagna, in una giornata di tardo autunno, che in quei luoghi significa già pericolo di nevicate? La sua storia è oggi disponibile in rete, basta digitare il suo nome ed escono alcuni articoli molto belli. Qui mi limito solo a sottolineare la cosa che per me è la più commovente e degna di nota. Elisabetta non era solo una donna di montagna, originaria di Carnino. Era una mamma. Come me, era una mamma di due figli maschi. E quel giorno assieme a lei nella tormenta vi erano anche loro. È stato per salvare loro che lei è morta. Sorpresi da una tormenta di neve al ritorno dalla Valle Ellero dove avevano dei castagneti, poco lontano ormai da casa, sentì di non avere più forze e costrinse i due ragazzini a correre entrambi a casa per chiedere aiuto. Ma gli aiuti arrivarono troppo tardi. Lei era già morta, di fatica e di freddo. 
È a lei che dedico questo nostro breve pellegrinaggio, con la promessa di andarla a trovare ogni tanto, se il futuro mi concederà di poterlo fare e di ringraziare di avere sempre vicino a me i miei due figli. 

La croce dedicata ad Elisabetta
  
La pioggia decide di diventare sferzante e ci fa riscuotere dalla nostra sosta. Rientriamo a Carnino velocemente, non senza una sosta alla Foresteria dove si può godere di ottimi dolci e piatti di montagna. Torniamo a casa più ricchi, più consapevoli e più felici di come siamo partiti, che poi è il vero scopo e il senso del nostro girovagare per monti.  

  

martedì 22 luglio 2025

10 anni dopo… Sotto gli occhi del Visconte

Di acqua sotto il ponte ne è passata così tanta che non è possibile qui raccontarla. Ha scavato la roccia, questo è certo. Ha reso più morbide certe durezze, ha reso più resistenti certe morbidezze. Ha smussato molti angoli, ha alimentato molte vite e annegato altre, scoprendo abissi nascosti e portandovi la luce, o facendo crollare tante sicurezze e portandovi il buio. Resta certo che, a distanza di 10 anni sono di nuovo qui a cercare di raccontare qualcosa, a chi, nemmeno lo so, forse solo a me stessa, ma va bene anche così. 

Oggi io e Pietro, che ha raggiunto splendidamente i 24 anni, assieme alla nostra fedele Babette, abbiamo voluto con determinazione affrontare il giro che abbiamo battezzato col nome “Sotto gli occhi del Visconte”. 

Carnino superiore (Surán) - passo delle Mastrelle - Passo della Croce - Cresta della Gallina - vallone dei Maestri - chiesetta di Sant’Erim - Carnino Superiore. 

Circa 750 mt di dislivello complessivo in salita più qualcosina di saliscendi del sentiero. Niente di difficile. Niente di impossibile. Unicamente una piccola sfida con noi stessi. 

Per noi questo è il “giro del cuore”,  un commovente ritorno a casa. È incredibile come l’amore verso un luogo possa essere così forte e denso. Così è per noi questo angolo di Alpi Marittime caratterizzato dalla sua natura carsica, che lo rende unico e meraviglioso. Perché qui tutto il “fuori” racconta di un “dentro”. E anche il rumore degli scarponi sul sentiero ha un suono tutto suo, riconoscibile tra mille. E i profumi, i colori, le forme, i fiori. Personalmente ho iniziato a frequentare questi sentieri 39 anni fa. Allora avevo 16 anni e furono queste montagne  ad accogliere le mie prime escursioni di più giorni in totale autonomia. Eravamo un gruppo di cinque amici di 16 e 17 anni, tutti legati dalla stessa passione per la montagna. Da allora ho percorso numerosi altri sentieri di altri tratti alpini, in molti altri contesti, ma loro restano le “mie” montagne, la “mia casa”. Ci portai Pietro ad appena 3 mesi di vita: partecipavo ad un campo speleologico. Questa esperienza ha impresso il suo segno nel cuore del mio cucciolo, che allattavo al seno sotto gli occhi del Visconte,  e lo ha per sempre legato a sè.  Pietro sente un fortissimo legame con questi luoghi e tutti gli anni vuole tornarvi per salutarli e riappropriarsi di qualcosa di “suo” da portare con sé ovunque lui sia.  Una energia e un afflato spirituale che lo sorregge nel corso della sua vita. Una sicurezza. La natura “casa”,  insomma, dalla quale allontanarsi con quella sensazione di avere un luogo a cui tornare, pieno di ricordi, valori, intenzioni, essenza, persone care, bellezze naturali senza confronti.  

Pietro, in salita verso l’attacco delle Mastrelle 

Ma vi chiederete: chi è il Visconte? Partiamo da qui. Il Visconte è lo spirito di queste vette, con i loro valloni, le creste, le grotte, i boschi, i fiori di roccia che trasudano calcare. È un nome di speleologica origine (è noto che gli speleo hanno una sterminata fantasia nel dare nomi originali a luoghi, anfratti, emozioni)  che ben ne descrive il carattere nobile e magnifico ma anche severo e potente. Esso è fisicamente rappresentato principalmente dal torrione roccioso del Ferà che a guardarlo da certe angolazioni (ad esempio dalla piana della Chiusetta) sembra un pugno chiuso in un gesto di divieto al passaggio. 

Passo delle Mastrelle.
Sullo sfondo il Visconte ci tiene d’occhio
 (Rocche del Ferá) 

Da qui l’abitudine, che si dovrebbe tenere presente sempre, quando si entra in un luogo naturale di qualsiasi genere, di chiedere il permesso, e di attendere la risposta. Una risposta che può arrivare sotto forma di nube, di suono, di passaggio di uccelli, di voci sussurrate all’anima. Ci si deve “connettere”: si deve essere determinati nella richiesta, ma soprattutto molto umili e rispettosi nel considerare la risposta. Due giorni fa chiedemmo il permesso e non ci venne accordato: il Visconte era cinto di nubi e uno scroscio di pioggia ci invitò a tornare indietro. Oggi invece il permesso ci è stato dato. Abbiamo percepito che il Visconte non aveva nulla in contrario e siamo entrati, in punta di scarpone, ringraziando. Tutto questo giro non tocca volutamente nessuna vetta,  ma si limita a considerarne le pendici in un anello molto interessante, sia dal punto di vista della storia della speleologia che delle caratteristiche morfologiche e naturalistiche del territorio attraversato. È un giro che a buone gambe richiede poco più di mezza giornata e quindi non è impegnativo nemmeno nelle tempistiche. Inoltre ha il suo piccolo lato “sportivo” nella salita al passo delle Mastrelle, in quanto ci si ritrova a percorrere la gran parte del dislivello tutto racchiuso in questo canalone appeso, dominato da un sasso erratico che sembra dover cadere da un momento all’altro sulla testa di chi si accinge all’impresa. Man mano che ci si avvicina alla soglia glaciale del passo, le pareti di roccia si stringono quasi a voler abbracciare chi sale (o a volerlo respingere, a seconda dell’umore del Visconte) e ci si ritrova immersi nel silenzio delle pietraie, interrotto solo dal chiacchiericcio dei gracchi corallini che, disturbati dal nostro arrivo, sebbene silenzioso,  si alzano in volo dalle loro zone di posa sulle rocce. Ci si eleva in fretta e quando finalmente si giunge sull’alto piano erboso di Piaggiabella, si può riprendere a respirare.

Il tipico sasso erratico sulla sommità
 del Passo delle Mastrelle

 Tutto si allarga, intorno a noi, dentro di noi e dentro alla montagna. Poco più in alto infatti il vallone, delimitato sulla destra dalla linea erbosa ben riconoscibile del Col del Pas e contraddistinto da numerose doline e avvallamenti carsici,  nasconde l’ingresso della grotta più famosa di questo complesso, Piaggiabella. Salendo di poco lungo il sentiero, si rende subito visibile sulla destra la Capanna Saracco Volante, rifugio di speleologi, e base per le esplorazioni sotterranee che han fatto la storia di questi luoghi.  

La Capanna Saracco Volante nella conca
 di Piaggiabella con sullo sfondo il Col del Pas

Di fronte a noi i contrafforti meridionali del Marguareis preannunciano la vetta, da qui raggiungibile in breve attraverso il Passo delle Capre, e affiancata a destra dalle ben visibili pareti di Punta Emma e Cima Pareto, che costruiscono uno sbarramento roccioso di notevole bellezza.

Non ci lasciamo ingannare dalle numerose tracce di sentiero che ci porterebbero a sinistra verso le cime prospicienti la Chiusetta e saliamo ancora dritti seguendo i segnavia bianchi e rossi dell’AltaVia, per raggiungere in breve il Passo della Croce, la quota più elevata del nostro giro (2146 mt s.l.m). 

Il Passo delle Mastrelle visto dal Passo della Croce

Prendendo la direzione a sinistra salutiamo la conca di Piaggiabella; con un gradevole saliscendi il sentiero ci porta alla testata della Cresta della Gallina, contornata dalle sassifraghe,  e poi giù al Vallone dei Maestri dove ci ricongiungiamo con il sentiero principale che da Carnino Soprano raggiunge il Rifugio Don Barbera. A questo punto iniziamo a scendere, giungiamo al gias dei pastori e facciamo la nostra  breve sosta pranzo alla chiesetta di Sant’Erim. È proprio lì che avvistiamo quelli che presumibilmente erano due Bianconi, in volo acrobatico sopra di noi: è una specie migratoria ma può nidificare nelle nostre Alpi. Più di questo non potevamo chiedere! 

L’affascinante Cresta della Gallina

La chiesetta di Sant’Erim

Il culto a Sant’Erasmo, che in molti luoghi d’Italia è protettore dei marinai, sembra fuori contesto su queste montagne eppure in qualche modo questo santo è stato sempre venerato dalle comunità pastorali brigasche, forse perché un episodio della vita del santo lo riconduce alla protezione nei confronti dei fulmini, molto temuti dai pastori e dai frequentatori delle alte quote. 

Una marmotta “sentinella”
fischia al nostro passaggio

Stella alpina (protezione totale)

Sassifraga presso la Cresta della Gallina

Semprevivo dei tetti sulla finestrella
 di Sant’Erim

Mettiamo il passo in modalità discesa e in breve giungiamo alla Chiusetta, una piana erbosa utilizzata come pascolo dai pastori e come campo base speleologico negli anni 2000, per l’esplorazione della interessante grotta de La Bassa il cui ingresso si apre in una fessura in parete. 



Dalla piana della Chiusetta, la parete dove
si apre l’ingresso de La Bassa,
 sotto il vigile sguardo del Visconte

Il nostro pensiero va ai campi speleo del GSI, e agli amici che non ci sono più, i cui passi risuonano ancora su queste pietraie selvagge. 

Sosta nella gola della Chiusetta per una preghiera 

Siamo sulla via del rientro. Non parliamo più, questo tutto resta chiuso nei pensieri. Salutiamo e ringraziamo un’ ultima volta il Visconte. Rientriamo a Carnino un po’ stanchi, ma soddisfatti e pieni di energia. 

[Tempo di salita del Passo delle Mastrelle da palina (1650 mt) a palina (2023 mt): 34 minuti. Record personale da battere o forse solamente da conservare. ]

Buon passo a tutti ❤️ Alègri!