La Via prosegue senza fine
Lungi dall'uscio dal quale parte.
Ora la Via è fuggita avanti,
Devo inseguirla ad ogni costo
Rincorrendola con piedi alati
Sin all'incrocio con una più larga
Dove si uniscono piste e sentieri.
E poi dove andrò? Nessuno lo sa.

J.R.R. Tolkien - La Compagnia dell'Anello

sabato 30 agosto 2025

Rocca Ginepro


Ci sono luoghi che hanno un carattere altéro, riservato, pungente e anche un tantino pericoloso. Sono luoghi che è meglio lasciare in pace, frequentare con misura e con una certa prudenza. Uno di questi è Rocca Ginepro, così chiamata da me perché quella sporgenza rocciosa, che strapiomba per quasi 500 metri sulla val Tanaro, che non ha ripari né ad oriente né ad occidente, che fai ancora un passo verso nord e non sei più, non ha un toponimo regolarmente segnato sulle carte. Forse una volta aveva un suo nome, assegnatogli dagli antichi frequentatori dei pascoli poco distanti, e che ormai è stato dimenticato. È un luogo che incute timore e rispetto e il cui sentiero d’accesso, come una porta che si apre su un altro mondo, è celato nel folto del bosco. Per me Rocca Ginepro ha un non-so-che di terribile e attraente assieme. Quasi a volerne descrivere il carattere respingente, sulla sua sommità, esposta al vento e alle intemperie, e dalla quale la vista spazia a 360 gradi tra le Alpi Liguri e le prime Marittime, non crescono che ginepri spinosi, coricati al suolo dal vento alpino, rallegrati solo da qualche ciuffo di lavanda selvatica.
 
Da sinistra a destra Alpi Liguri e Alpi Marittime 
dalla Rocca Ginepro


Il bosco si ferma poco prima di arrivare al precipizio, quasi a dire “io non vado oltre, questa paura rocciosa non fa per me”. Eppure è proprio il bosco il suo principale alleato e il suo migliore amico perché, mentre le tiene protette le spalle come fosse un vecchio scialle, la rende al tempo stesso misteriosa e inaccessibile. Regno incantato di lupi e caprioli lui, regno assoluto dei rapaci lei. 


L’Alta Valle Tanaro dalla Rocca


Giungo alla Rocca Ginepro quando ho bisogno di quel silenzio pieno di voci che solo la natura può dare. Quando i miei occhi han bisogno di spazi che descrivono l’uomo come una piccola insignificante creatura tra le creature, quando ho bisogno di mettere la mia vita nelle mani dell’istinto e dell’intuito e zittire la voce della mente chiacchierona. Quando ho bisogno di aggiungere nuovi ricordi e lasciar volare via quelli vecchi ed inutili, quando ho bisogno di sentire che stare da soli con se stessi, ma avere comunque qualcuno che ci aspetta, è un privilegio.

 


Arrivo sul limite e mi fermo. La testa gira in una vertigine a guardare verso il basso. Ancora un passo e… per guardare meglio oltre il ciglio mi stendo a terra, Babette resta indietro, saldamente legata ad un ginepro. Rimango lì finché non sento che i miei occhi han toccato tutto e che il mio spirito si è colmato di quel tutto. Il ritorno non è mai come l’andata: si è verificato un cambiamento, dentro di me, proprio cosi, come l’ho cercato e immaginato. E il sentiero mi appare meno lungo e misterioso. Rientro nel mondo di sempre e saluto la Rocca, ringraziandola.

Buoni passi a tutti. 

Alègri! ❤️

lunedì 18 agosto 2025

Tanarello il “verdazzurro”


Nasce dalle pendici del Monte Saccarello, la cima più alta delle Alpi Liguri e la valle dove scorre è ancora oggi una delle più selvagge ed “intatte”della zona: il Tanarello. La sua salvezza è che la strada che lo costeggia non è mai stata asfaltata: per raggiungerne gli angoli più nascosti è necessario camminare, camminare, camminare. Una valle verdazzurra, dove le faggete dialogano con abetine e lariceti, dominata da bastioni rocciosi calcarei che nascondono reconditi segreti sotterranei, vivificata e resa magica dal corso sinuoso del torrente che crea cascate, laghi, anse e gole. Una valle la cui storia intreccia racconti di transumanze e semplice vita agreste ormai dimenticata, a tradizioni che fanno fatica a resistere all’implacabile passare del tempo. Non vi si trova alcun insediamento umano, a parte alcune malghe per l’alpeggio estivo sul versante settentrionale della vallata, ormai abbandonate da quasi un secolo e pressoché totalmente diroccate. Alcune pareti che pionieri dell’arrampicata hanno attrezzato, con gradi di difficoltà piuttosto elevati, una grotta che si fece conoscere per il ritrovamento di resti appartenenti all’orso delle caverne preistorico, sentieri di collegamento con il “resto del mondo” che risultano difficili da percorrere se non li si conosce perfettamente: appannaggio di chi quei luoghi li frequenta da generazioni e forse con un po’ di giusta gelosia li vuole preservare dal turismo di massa che sempre di più sta invadendo gli spazi naturali. 




Nelle calde e afose giornate d’agosto fare il bagno nel Tanarello è una delle esperienze più gradevoli che si possano immaginare. Se la portata d’acqua non è eccessiva, con un buon paio di scarpe adatte agli sport acquatici in outdoor si può percorrere il greto del torrente fino alla confluenza con il Negrone (non fate come me che, come al solito, le ho scordate, e l’ho percorsa scalza, sperimentando una immersione totalizzante ma un po’ troppo faticosa). L’unione dei due corsi d’acqua alpini, proprio lì, dà origine al fiume Tanaro. Nelle giornate fresche del primo autunno i boschi possono regalare tra i panorami più suggestivi delle Alpi Liguri. I larici si accendono di un rosso vivo, assieme agli aceri di monte, e spiccano tra il verde degli abeti. I raggi del sole sono timidi e inclinati e non giungono mai a sfiorare le acque del torrente, regalando visioni da regno di fiaba. La valle è il rifugio e zona di passaggio di un branco di lupi che nelle brevi giornate invernali si può avere la fortuna di udire ululare. Nulla da invidiare a certi paesaggi nord americani, sebbene il tutto racchiuso in scala molto ridotta. 



L’anima di questo luogo è qualcosa di prezioso e unico, anch’esso fa parte dei “miei” luoghi magici, la cui essenza accompagna la mia vita da quando sono nata e la cui bellezza selvaggia ha forgiato la mia percezione della natura. Le mie avventure verdazzurre colorano le mie estati anno dopo anno rendendomi sempre più grata di questo privilegio che la vita mi ha donato. 
E voi, avete un luogo verdazzurro tutto vostro?? 
 Alègri!❤️





sabato 9 agosto 2025

Ho dato il “Bianco”

Il sole saluta l’Aiguille Noire de Peuterey,
les Dames Anglaises e il Monte Bianco
di Courmayeur

Ho dato il Bianco finalmente. Ho rinnovato, rinfrescato le pareti di una stanza che sapeva di chiuso. Una stanza in cui ho vissuto tante bellissime ed uniche esperienze, ma esperienze che non torneranno più: bei ricordi si, ma bisogna andare avanti. Allora ho deciso: togliere i vecchi colori scrostati alle pareti, e dare semplicemente il “Bianco”.  Tornare dopo tanti anni negli stessi luoghi, molto amati, e trovarvi nuove prospettive, nuovi punti di vista, nuove amicizie, nuove promesse. Tornarci con il mio zaino carico di saperi e di amore per la montagna, tornare con tanta umiltà e voglia di imparare. Ringrazio Monja, persona stupenda, super collega di lavoro e amica,  che mi ha permesso di vivere questi giorni in Val Ferret ai piedi delle Grandes Jorasses assieme alla sua meravigliosa famiglia “multistrato”. Ringrazio il suo compagno Davide, istruttore di arrampicata e alpinista, che mi ha fatto guardare le verticalità rocciose sotto una nuova luce; ringrazio l’allegria educata dei loro figli e la loro voglia di scalare le montagne e divertirsi nella natura: mi ha ridato speranza in un futuro di giovani uomini e donne attenti alle sorti del nostro pianeta meraviglioso. Ringrazio nonno Cesare che mi ha fatto partecipe della sua fragilità e della sua forza, e di tutte le sue mille storie e saperi sui viaggi in camper. Ringrazio la mia fedele Babette, che non mi abbandona mai, e si è fatta amare da tutti per la sua dolcezza infinita e la sua affidabilità e adattabilità. Ringrazio tutti gli alpinisti e amanti della montagna che ho conosciuto e dai quali ho tratto storie, racconti, emozioni, saperi. Non potevo desiderare nulla di più e di meglio… è la magia della montagna. Quella vera, quella lontana dai riflettori e dai record, quella di chi sale in silenzio, senza sponsor e cronometro, rispettando se stesso e gli altri ma soprattutto il luogo dove posa i piedi e le mani. La montagna che detta le sue regole, severe, ma che dà a tutti una possibilità di riuscita. 

Le Grandes Jorasses di notte illuminate
dalla Luna piena. 

Post scriptum. L’importanza dei nomi. 
Il nome Jorasses giunge dal celtico Juris che significa “foresta d’alta quota”. Le foreste erano importanti  per i Celti e la val Ferret, che era senza dubbio ricoperta da una estesa foresta di larici secolari, era un luogo incantato e a loro sacro. Teniamolo a mente, i nomi sono importanti. 

venerdì 1 agosto 2025

Chiusetta



Son tornata da sola, anzi non proprio sola, con la fedele Babette al mio fianco, sui sentieri del Margua. Questa volta non per il desiderio in sé di percorrere strade, quanto per assolvere ad un voto che ho fatto a me stessa da tempo: ridipingere i fiori sulla croce della Chiusetta. Per me è una immersione totale in un angolo di natura che un poco mi appartiene, per lunga storia di frequentazione esperienze e vita.  Ma non è una appartenenza corrisposta : credo che a quel boschetto di pino mugo, a quelle rocce strapiombanti, a quei buchi che occhieggiano nelle pareti, a quei mille tipi di fiori, a tutte quelle mosche ronzanti e farfalle sfarfallanti, alle marmotte fischianti, alla nebbia incastrata tra gli abeti, ai gracchi gracchianti, agli steli d’erba della piana, alle pietraie che sembrano ruscelli di sassi, proprio non interessi un bel niente di me. E forse sta proprio qui la cosa bella: trovare pezzetti di sé all’interno di quell’indifferenza. Perché io da anni faccio lo sciroppo con quelle pigne che hanno quel profumo di quella montagna lì e di nessun’altra. Perché la sera mi faccio la tisana con i capolini essiccati della sua achillea, perché durante l’inverno cittadino a volte ripercorro con la mente il sentiero di  cui ricordo ogni singola svolta ed è come esserci senza esserci. Perché posso ricordare quando lo facevo a 20 anni con zaino pesante e vita ancora leggera, e strati di ricordi che si sono sedimentati lì in quel luogo uno dietro l’altro. Perché lo immagino quando nessuno lo percorre se non il vento, o la tormenta di neve, o la pioggia scrosciante, o nel buio di una notte stellata o alla luce dell’alba o al crepuscolo. 
E la triste storia che ha portato il nome Chiusetta su tutti i giornali la posso raccontare perché l’ho ascoltata dalla bocca di chi è sopravvissuto. Da chi aspettava un ritorno che non c’è stato. Perché ho percorso anche io quella grotta. La croce custodisce nove anime, nove vite spezzate dal troppo amore per quelle montagne. Un monito per chi è rimasto. Un invito a continuare ad amarle. Sono salita veloce, quasi di corsa e ho ridipinto i loro fiori, che la montagna e il tempo stavano sbiadendo. Ho raccolto le pigne di pino mugo. In silenzio, in segreto. Ho raccolto l’achillea. Ho scattato alcune foto. E son tornata a casa, questa volta lentamente, fermandomi ad assaporare i silenzi rotti solo dal frinire dei grilli, dal richiamo di un capriolo maschio laggiù nel bosco, o dal frusciare delle fronde. Sono tornata con un altro piccolo pezzo di me nello zaino e l’ho sistemato per bene al suo posto. Un piccolo pezzo del puzzle.